Restano solo dolore, rabbia e incomprensione

2021
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History

Texto original em Alemão
Zurück bleiben Trauer, Wut und Unverständnis
2021
barrikade.info

Tradução em italiano
frecciaspezzata.noblogs.org

Questo testo cerca di affrontare gli eventi inerenti il caso di repressione a Zurigo in cui un ex compagno anarchico ha diretto i sospetti su altre persone del suo ambiente per scagionare se stesso. Si tratta di repressione, infamia ed altri abissi.

Di che cosa si tratta?

Nel gennaio 2019 un ex compagno viene arrestato a Zurigo. L'accusa è di attacchi incendiari verso veicoli militari ad Hinwill nel 2015 e verso la stazione radio di emergenza Weidberg della polizia di Zurigo nel 2016[1]. Prima di venire arrestato, l'ex compagno era stato sorvegliato per mesi.

In carcere, durante l'interrogatorio finale e dunque prima della conclusione delle indagini, il prigioniero ha fornito all'ufficio del pubblico ministero una dichiarazione scritta, senza consultarsi con la sua cerchia di solidali. In tale dichiarazione ha affermato di non avere nulla a che fare con gli incendi di cui era accusato ed ha indirizzato i sospetti verso amic* e conoscenti.

Di conseguenza, nel settembre 2019, l'allora gruppo di solidali che si era formato intorno alla persona arrestata, ha annunciato in una lettera di ritirare la propria solidarietà. In primo luogo perché la deposizione è stata resa in forma scritta, così da poter essere usata specificatamente contro altre persone (e il prigioniero sembra essere consapevole di ciò). In secondo luogo perché in tale dichiarazione il prigioniero ha esplicitamente diretto i sospetti sulla sua cerchia di amic* e conoscenti.

Dopo quasi un anno di custodia cautelare in carcere, a metà dicembre 2019 l'ex compagno è stato condannato a 42 mesi di reclusione[2].

Cos'è questo testo?

Questo testo è un'aggiunta alla lettera «Zur Einlassung des Gefangenen von Zürich»[3] pubblicata dal gruppo di ex solidali nel settembre 2019. Le riflessioni qui contenute non provengono però da tale gruppo, sono invece emerse in discussioni collettive all'interno di un esteso contesto anarchico. Sono sorte in discussioni tra persone, alcune più vicine e altre meno vicine al prigioniero e al gruppo di solidarietà, che hanno voluto affrontare le scelte intraprese dal prigioniero ed elaborare collettivamente quanto accaduto.

In questo testo rendiamo pubbliche più informazioni riguardo al caso di quante non siano state rese pubbliche finora. Crediamo che ciò sia necessario ed importante, cosicché anche altr* possano affrontare le problematiche in questione, sia in merito a questo caso, sia per imparare per il futuro. Questo testo deve dunque essere inteso anche come uno stimolo per affrontare i temi della repressione, del carcere e dell'infamia.

Citeremo parti della dichiarazione resa dal prigioniero all'ufficio del pubblico ministero. In ogni caso, non ci interessa speculare se quanto dichiarato sia vero o meno. Non è certo questo ad essere importante. Quello che ci preoccupa è il fatto che abbia reso tali dichiarazioni di questo tipo. Quello che ci interessa è rendere il più chiaro possibile il contesto di tali dichiarazioni: ossia il fatto che sono state ben ponderate e che il prigioniero abbia deliberatamente incriminato altre persone per salvare se stesso. Non si tratta di una mezza frase detta dopo svariate ore di interrogatorio, bensì di una mossa strategica pianificata.

Che cosa c'è scritto nella dichiarazione?

In merito all'attacco incendiario ai veicoli militari ad Hinwil, l'ex compagno afferma nella sua dichiarazione scritta di essere stato in quel luogo il giorno prima dell'incendio per osservare il posto e di avere quindi toccato la recinzione al fine di «lasciare in seguito manifesti o scritte su tali veicoli per esprimere una critica verso l'istituzione militare». Per questo motivo, afferma, il suo DNA avrebbe potuto essere presente sulla recinzione.

Scrive inoltre: «Più tardi quella stessa sera ricordo di avere incontrato i miei amici in un bar a Zurigo, penso fosse il Gotthard Bar sulla Langstrasse. C'erano delle persone, alcune le conoscevo bene, altre meno. Anche in questo gruppo la conversazione vertiva sull'esercitazione militare che stava avendo luogo […]. Quella sera ricordo di aver parlato con una persona. Lei disse che a suo avviso sarebbe stato appropriato fare qualcosa di più concreto in quel contesto. Menzionai dunque di essere stato ad Hinwil quella sera e di aver pensato che forse si sarebbero potute fare delle scritte e mettere dei manifesti sui veicoli militari parcheggiati lì. La persona chiaramente conosceva il posto e spiegai in quale punto avevo guardato la recinzione […]. L'altra persona si mostrò interessata, ma ne parlammo solamente. Alla fine andai a casa senza che avessimo deciso o pianificato nulla di concreto in merito. Fui molto sorpreso quando, alcuni giorni dopo, lessi sul giornale che apparentemente alcuni veicoli militari erano stati dati alle fiamme in quella base logistica. Ovviamente mi chiesi se ci fosse un nesso con quanto discusso quella sera, ma di certo in quell'occasione non si parlò mai di attacchi incendiari.»

In merito all'incendio di una torre radio della polizia a Zurigo, del quale era stato accusato, il prigioniero ha reso una dichiarazione ancora più dettagliata, affermando nuovamente di non essere coinvolto né nella decisione né nell'esecuzione materiale dell'attacco incendiario, ma di essere a conoscenza del coinvolgimento di persone a lui note e con le quali aveva avuto contatti. Afferma: «A questo punto vorrei anche spiegare di avere rimandato la mia dichiarazione fino ad ora in quanto sarebbe stato chiaro che avevo avuto contatti con persone che potrebbero essere coinvolte in questo attacco incendiario. Non volendo, in nessuna circostanza, rendere dichiarazioni riguardanti altre persone, temevo che avreste potuto farmi pressioni con misure come l'isolamento. Considerata la gravità delle accuse avevo previsto un lungo periodo di custodia cautelare in carcere e quindi pensai che al momento fosse meglio rifiutare di testimoniare e di aspettare gli interrogatori futuri.»

Seguono poi lunghi commenti circa «quella sera» nei quali nomina due persone che afferma di aver incontrato vicino alla torre radio in questione: «Ad un certo punto, credo fosse già buio, quindi verso le 9-10 di sera, vidi due persone che conoscevo arrivare dal piccolo sentiero verso il punto di osservazione con biciclette e zaini. Chiamai queste persone, vennero da me e parlammo un po'. […] Chiesi cosa stessero facendo e dissero qualcosa in merito ad un festival nei boschi. Dopo circa mezz'ora gli chiesi se potessi andare con loro visto che non avevo progetti per quella sera. Mi risposero in maniera un po' evasiva e dissero che avevano qualcos'altro da fare. Non feci altre domande e ci salutammo. Dopo qualche minuto tornarono indietro e mi chiesero se volessi aiutarli con una cosa. Risposi di sì e mi spiegarono che dovevano portare una scala attraverso il bosco e che era molto pesante, quindi in tre sarebbe stato più semplice che in due. […] Quando gli chiesi a cosa servisse la scala mi dissero che aveva a che fare con il festival. […] Visto che una delle due persone aveva con sé un grande zaino e una borsa, io usai la loro bici per quasi tutto il tragitto, pedalando a passo d'uomo a fianco a loro. Deve trattarsi della mountain bike che è stata trovata.»

La storia molto dettagliata continua «Poi vidi che c'erano due tenaglie nella borsa che era appoggiata per terra. Le tolsi dalla borsa e chiesi a cosa gli servissero. Quando mi risposero in modo evasivo e mi dissero di rimetterle via capii che avevano in programma qualcosa e che non volevano dirmelo. Glielo chiesi e alla fine mi dissero di volere dare un'occhiata più da vicino alla torre radio e che la scala gli serviva per scavalcare la recinzione. Le tenaglie le avevano semplicemente portate con sé. […] Ovviamente sapevo che non era legale scavalcare la recinzione e dissi anche di non essere d'accordo sul fatto che usassero per qualcosa di illegale proprio quella scala, sulla quale a quel punto c'erano anche le mie impronte digitali. Dissero che avrebbero pulito la scala con la candeggina e mi mostrarono di avere addirittura delle tute protettive con sé. […] In ogni caso alla fine pensai che avrei almeno voluto essere presente al momento della pulizia della scala. Subito dopo io e un'altra persona indossammo le tute protettive, ovviamente ne avevano svariate con sé. […] Ricordo che l'altra persona ad un certo punto allontanò qualcosa usando una borsa. Non riesco a capire come sia possibile che micro-tracce di benzina siano apparentemente state trovate sui guanti in lattice, visto che in quell'occasione non vidi e non sentii odore di benzina e nessuno menzionò nulla di simile. Ciò nonostante, ripensando ora a quella scena, è possibile che in quel momento l'altra persona stesse maneggiando in quella borsa qualcosa con una bottiglia di benzina. […] Mentre stavamo tornando indietro sentimmo musica ad alto volume provenire dal bosco, sembrava ci fosse un grande impianto. Ovviamente doveva trattarsi del festival di cui mi avevano parlato. Loro volevano andarci subito e mi chiesero se volessi unirmi anch'io, ma risposi che stavo andando a casa e, scherzando, gli dissi di non fare cavolate.»

Il prigioniero rende le sue accuse ancora più chiare nelle righe seguenti: «Poi alcuni giorni dopo venni ovviamente a sapere che c'erano state delle perquisizioni e che una delle persone coinvolte era sospettata dell'incendio alla torre radio vicino a Waidberg. Rimasi scioccato quando sentii la notizia. Da un lato, perché mi fu chiaro che questo fatto aveva qualcosa a che fare con quella sera e non me lo sarei mai aspettato, ma soprattutto perché la reazione era stata così veloce e violenta. Sembra che a San Gallo un'abitazione sia stata perquisita con le armi in pugno. Ero preoccupato per la persona che cercavano, ma pensai anche al fatto che mi ero aggirato in quel posto con le tute protettive e che forse poteva essere rimasto lì qualcosa con le mie tracce, se qualcosa era evidentemente andato storto.»

Con le sue dichiarazioni, il prigioniero ha messo in questa posizione sia il compagno, che ora è in fuga[4], sia un'altra persona. Sebbene non abbia menzionato nessuno direttamente per nome, con le sue descrizioni e spiegazioni ha esplicitamente diretto i sospetti verso persone specifiche. Lui, che in base alle sue stesse dichiarazioni afferma inizialmente di non voler dare informazioni su altre persone, incrimina poi molto chiaramente due persone che apparentemente conosce. Inoltre, nella sua deposizione, collega una perquisizione a casa di una persona direttamente a questo caso.

Cos'è successo dopo la dichiarazione?

Quando l'allora gruppo di solidali e altre persone vennero a sapere della dichiarazione scritta, contattarono il prigioniero chiedendo informazioni circa le sue motivazioni e il suo stato di salute. Rispose di essere in buona forma e certo di quello che aveva fatto, aggiungendo che le sue dichiarazioni erano state un'intelligente mossa strategica. Gli venne chiesto di ritirare tali dichiarazioni e fu informato che, date le circostanze, non avrebbe più ricevuto il supporto del gruppo di solidali. Ciò nonostante, in quell'occasione si rifiutò di ritirare la sua deposizione. Fu solo alcuni mesi dopo, poco prima del processo, che ritrasse le dichiarazioni rese, definendole fittizie.

Ma ormai il danno era fatto e la fiducia era venuta meno. Con le autorità giudiziarie non funziona così, ciò che è stato depositato non può semplicemente essere ritirato senza conseguenze. L'ufficio del pubblico ministero cerca di utilizzare tutto quello che può contro persone considerate presumibilmente sospette, se qualcosa non può essere usato come prova in tribunale, può comunque come minimo essere annotato come circostanziale. Come detto in precedenza: non vogliamo speculare sul fatto che queste dichiarazioni siano vere o fittizie. Quello che a noi importa è che: il prigioniero ha cercato di tirarsene fuori dirottando i sospetti verso il suo ambiente, amic* e compagn*, così come puntando il dito contro persone specifiche. E, secondo quanto lui stesso ha dichiarato, si è trattato di una decisione strategica. Questo è dimostrato anche dal fatto che, nella sua dichiarazione, ha tratto alcuni elementi dal fascicolo giudiziario e dalle tesi del p.m., ad esempio nel tentativo di spiegare perché tracce del suo DNA sono state presumibilmente trovate sui luoghi di questi attacchi incendiari.

Come ha reagito il prigioniero?

Circa sei mesi dopo da quando, viste le circostanze, il gruppo di solidarietà non è più stato disposto a sostenere il prigioniero e ha reso pubblica la sua decisione in una lettera, l'ex compagno ha mandato una lettera aperta a vari posti del movimento e a individualità commentando la sua deposizione, l'udienza in tribunale e la reazione dell'ex gruppo di solidali. Il tono di base della lettera era accusatorio e di rimprovero, ed era rivolto prevalentemente all'ex gruppo di solidali. Non fornisce motivazioni o spiegazioni concrete, né tantomeno delle scuse. Di base, il messaggio della lettera è che la reazione dei suoi compagni e delle sue compagne e la mancanza di solidarietà sono molto peggio di quello che gli hanno fatto gli sbirri e lo Stato, e peggio del suo stesso errore. In questa lettera non si prende la responsabilità delle sue azioni, ma piuttosto le delega a un presunto potere più alto, a «qualcosa di assurdo», «come un orchestrato intrigo del destino». Scrive che la sua deposizione era «priva di importanza», «un esperimento, quasi giocoso» e che rendere pubblico che «ha implicitamente incriminato qualcuno» e attirato le attenzioni sul suo ambiente è una «calunnia» crudele.

Qual è la nostra posizione?

Abbiamo deciso di pubblicare questo testo ed estratti della deposizione anche per via della lettera citata prima. Perché, fino a quando non ci sono informazioni accessibili in merito alle motivazioni alla base della decisione presa dall'ex gruppo di solidali e da altre persone, non c'è una base comune per parlare di questo caso e, in definitiva, imparare da esso. Il prigioniero è stato rilasciato nel mese di maggio (2021), dopo aver scontato due terzi della pena.

Ad oggi il prigioniero non si è scusato e chiaramente non è pronto a prendersi la responsabilità delle proprie azioni, di quello a cui ha dato il là con la sua deposizione. Perciò vogliamo spiegare cosa significa per noi un comportamento del genere: questa persona è un infame. Non è tradimento nel senso di «spifferare qualcosa», come abbiamo già detto, non vogliamo speculare su quanto ha dichiarato, ma nel senso di una lampante rottura della fiducia, un'infamata verso compagn* e idee, verso la fiducia del suo ambiente, della sua cerchia di solidali.

L'«insignificante, giocoso esperimento» ha delle conseguenze, per le sue compagne e per i suoi compagni, per le sue amicizie, il suo ambiente, per altre persone. La prigione, durante un'indagine in corso, non è il posto giusto per fare esperimenti. Solo perché gli sbirri non hanno ancora usato questa deposizione per intraprendere un'indagine penale verso altre persone del suo ambiente non significa che non possano (ancora) farlo. O che vada bene incriminare altre persone e addossare sospetti su di loro. In altri momenti e in altri luoghi, simili «esperimenti» possono avere conseguenze per un intero ambiente. Se questo sarà il caso di questo «esperimento» non lo sappiamo ancora.

Siamo consapevoli di come l'isolamento, le pressioni, le difficoltà psicologiche ed emotive e la violenza degli sbirri e della prigione in sé possano rendere impossibile la vita in carcere (e al di fuori di esso). Può accadere che non si riesca più a sopportare una simile pressione e a resistervi, anche se evitare che si arrivi a ciò sarebbe ovviamente la cosa migliore da fare. Non si tratta di difendere miti, dogmi o l'idea del* «pur* rivoluzionari*» che non si piega mai. Le domande legate al tradimento, alla repressione, al carcere sono complesse e dovrebbero, nel migliore dei casi, essere discusse prima di affrontare la situazione. Come detto, nel migliore dei casi.

Le dichiarazioni rese ai procuratori sono problematiche a priori in quanto non rappresentano una buona strategia legale. La maggior parte de* avvocat* consiglia di rilasciare dichiarazioni, se proprio, solo in tribunale, in quanto tutto quello che viene detto verrà usato dai procuratori contro di te o contro altre persone. Il loro scopo è quello di raccogliere quante più prove possibili per incriminare qualcuno, non decidono il verdetto. Il rifiuto di testimoniare rimane la migliore strategia difensiva per proteggere se stess* e le altre persone. Ciò nonostante, ci sono molte situazioni in cui le persone sembrano non vedere altre opzioni se non quella di rivelare certe informazioni. Ma perfino questo può essere fatto senza prendere le distanze da idee, azioni o metodi. E soprattutto: senza incriminare altre persone.

Il fatto che il prigioniero nella sua deposizione prenda le distanze dagli attacchi e dai metodi avrebbe di per sé già reso difficile continuare a mostrargli solidarietà «rivoluzionaria». O, in altre parole : Sarebbe stato strano e politicamente discutibile riferirsi positivamente agli attacchi connessi a questo caso, quando lui stesso si distanzia chiaramente da essi.

Ma il vero grande problema è che il prigioniero trascini altre persone nei suoi costrutti, senza che esse ne siano a conoscenza e senza il loro consenso, che diriga su di loro i sospetti per salvare se stesso, e che nel farlo supporti le ipotesi del pubblico ministero. Si tratta di una deposizione scritta, intenzionale, preparata. Non è stato un atto emotivo, dato dalla disperazione del momento o dal non riuscire più a sopportare la situazione. Inoltre, avrebbe potuto avere (a differenza di molt* altr* detenut* che non hanno un gruppo di supporto) le possibilità e il tempo di dire qualcosa alla sua cerchia di solidali, di informarl*, di chiedere aiuto… Invece ha deciso di rendere una dichiarazione incriminando altre persone senza cercare consiglio, da solo e mosso da un sentimento di superiorità.

E anche supponendo che un* compagn* rilasci dichiarazioni che incriminano altre persone — ad esempio perché ha un crollo, non riesce più a resistere alla pressione, è in una difficile situazione di vita, o perché le dichiarazioni vengono estorte sotto tortura — se la persona lo comunica apertamente e in maniera trasparente, allora la situazione sarebbe diversa. Anche in quel caso verrebbe persa la fiducia alla base, ma resterebbero altri livelli di interazione. Comunque, come descritto, non è questo il caso con il prigioniero, anzi.

Per tutti questi motivi lui è un infame, la base del nostro agire comune, della nostra vita e della lotta è la fiducia reciproca.

De-solidarizzazione — e ora?

Le azioni del prigioniero hanno portato a molte lunghe e difficili discussioni. La decisione di informare altr* compagn* ed altre cerchie in merito alla deposizione è stata tutto tranne che presa alla leggera, e non è certo stata una decisione facile. Ci potrebbero essere delle critiche sul fatto che non sono state rese pubbliche abbastanza informazioni, che in precedenza non sono stati scritti più dettagli su questo caso. C'è voluto del tempo per prendere questa decisione. Ma celare completamente ad altr* compagn* il fatto che qualcuno ha reso delle dichiarazioni volte intenzionalmente ad incriminare altre persone sarebbe stato irresponsabile e negligente.

Non è facile togliere ad un* compagn* la solidarietà, l'amicizia o qualunque altra forma di supporto. Ci sono state ed ancora ci sono discussioni, dubbi, paura di ulteriore repressione. La deposizione non solo fa sorgere domande alle quali probabilmente non riusciremo mai a dare riposta, ma avvelena anche i rapporti e crea insicurezze nell'ambiente in generale. Quello che lascia sono incomprensione, dolore e rabbia. Ad oggi ci sono un bel po' di cose che non sappiamo. In fin dei conti non è nemmeno chiaro dove finisca questo sua dichiarazione. È tutto o ha detto altro?

La decisione di togliere la solidarietà non nasce dal dogmatismo. È una reazione alla rottura della fiducia, alle ferite, al tradimento delle idee, di compagn* e amicizie.

Alla fine, questo caso purtroppo mostra anche come nessuno sia immune dal tradire se stess* e le altre persone. Ci piacerebbe assicurare a noi stess* e assicurarci a vicenda che non collaboreremmo mai con gli sbirri, con lo Stato. Questa situazione però, ci insegna il contrario, ci insegna che alla fine, non lo possiamo sapere. Questo è esattamente il motivo per cui crediamo sia importante affrontare quelle domande che vanno oltre questo caso, che sia importante porci tali domande e discuterne in un contesto politico. Quali possono essere le conseguenze delle mie scelte per me e per le altre persone? Credo in quello che dico e scrivo? Che cosa significa l'implementazione delle mie idee? Qual è la mia posizione in un caso simile?

Per noi, autori e autrici di questo testo, una cosa è certa: non ci fidiamo più del prigioniero. In futuro non vogliamo condividere con lui le nostre lotte, i nostri spazi e i nostri ambienti. Non vogliamo avere più nulla a che fare con lui. E crediamo che le altre persone debbano sapere il perché.


2. 

Qui un aggiornamento sul processo: «Update zum Prozess von dem in Zürich am 29.Januar Verhafteten».

3. 

Link allo scritto dell'ex gruppo di solidarietà: «About the talkative Prisoner of Zürich».

4. 

Il giorno dopo l'attacco incendiario a una torre radio della polizia a Zurigo, diverse abitazioni sono state perquisite in alcune città svizzere. Secondo i mandati di perquisizione, lo scopo era quello di cercare «una persona fortemente sospettata» i cui «artefatti personali era stati ritrovati». La persona ricercata a livello internazionale, un compagno anarchico, non è stata trovata in quell'occasione ed è tuttora irreperibile. Più informazioni possono essere trovate nell'opuscolo «Silenzio radio».